Lasciateci decidere la nostra fine.

L’evoluzione della medicina ha permesso oggi di ottenere macchine e tecniche terapeutiche che prolungano e posticipano l’atteso giorno della morte. Evoluzioni mediche che fino a qualche decennio fa e non si pensava nemmeno di avere, e men che meno si immaginava di rianimare quelli in fin di vita e riportarli in un limbo tra vita e morte. Le moderne tecniche creano tuttavia delle problematiche. Non sempre si può pensare ad un miglioramento, come il risveglio da un coma, anzi il più delle volte le condizioni dello sfortunato sono gravi e irreversibili e spesso lo stato vegetativo è solo un lungo periodo di patimento da parte del paziente e della famiglia prima della morte. Rianimando un paziente clinicamente deceduto lo si porta in questa via di mezzo dove le sofferenze non vengono alleviate. In questo stato l’ammalato, se giovane, ha una lunga aspettativa di vita, senz’anima, ma con un cervello che manda piccole scosse di attività. Il prolungamento della vita in modo artificiale è sostenuta dalla politica e dalla legislazione, ma è anche mal vista dai medici, perché il paziente anche se incosciente, soffre. Un esempio reale di stato vegetativo che ha riscosso molta opinione pubblica è quello di Eluana Englaro, ragazza rimasta tra la vita e la morte in seguito ad un incidente stradale per anni. Il padre, finalmente, nel 2008 ottenne l’autorizzazione di interrompere le cure, in quanto la figlia aveva espresso questa volontà quando era ancora capace di intendere e volere. Questa testimonianza si può considerare una forma di testamento biologico. Il biotestamento non è altro che una dichiarazione anticipata di volontà, un documento con valore legale nel quale una persona, ancora in possesso delle proprie facoltà mentali, esprime le sue volontà, i trattamenti cui dà il consenso di essere sottoposta, qualora si trovasse in determinate condizioni critiche. Negli altri paesi la legge del testamento biologico è già in vigore, come è legale l’eutanasia. In Italia invece la legge non è ancora stata confermata anche dopo il caso Englaro. Il testamento biologico viene visto sempre più dalla gente come un diritto, reclamato, ad auto-decidere e a restituire nuova dignità al morire. Il potere che si ha sulla propria morte è un diritto che in Italia dovrebbe esistere.  Prendiamo l’esempio di un malato terminale, colpito da distrofia muscolare, costretto a stare in un letto senza muoversi, attaccato a dei macchinari. Quest’ uomo vorrebbe essere lascito morire, la sua vita è sofferenza. Ma a causa di continue discussioni dove non si giunge ad una conclusione lo si obbliga ad un’esistenza senza significato. A questo punto ci si chiede: ma la vita è ciò che ognuno di noi pensa? O è ciò che pensa la maggioranza? La vita che conduce il malato non è la vita come la si intende, perché la vita è alzarsi da letto, muoversi, respirare senza bisogno di un apparecchio meccanico. La vita è scrivere comunicare con il resto del mondo. Quando una persona decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente biologica, non vuole più soffrire e rinuncerebbe a tutto pur di avere pace. Eppure se la vita e la morte sono due processi continui, garantire a tutti di morire più dignitosamente significa, usando un paradosso soltanto apparente, elevare la qualità della vita per garantire la libertà delle sofferenze alla morte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *