Natzweiller-Struthof: le nostre riflessioni

Un enorme cancello fatto di travi di legno e di filo spinato affiancato da una torre su cui si trovava una sentinella pronta, in qualunque momento, a fare fuoco; poi una recinzione di filo elettrificato. Questo è l’ingresso del campo di concentramento di Natzweiller-Struthof in grado di far capire, a chiunque abbia intenzione di entrarvi, cosa hanno dovuto sopportare tutti i suoi 52000 prigionieri nei suoi tre anni di attività.
Nonostante all’inizio fosse principalmente un campo di transito, successivamente divenne di sterminio. In esso morirono circa 22000 persone nelle camere a gas, a causa della fame, della fatica e dell’odio che solo l’essere umano riesce ad infliggere alla sua stessa razza.
In memoria di tutti i deportati, nel 1964, fu edificato il Memoriale della Deportazione, costruito di fianco alle tombe dei resti dei prigionieri di Natzweiller. La sua vista fa riflettere molto su quanto essi abbiano sofferto, su come venissero trattati, su cosa avessero dovuto subire solo per cercare di scampare dalla morte e dalla crudeltà dei nazisti.
Procedendo nella visita si giunge su un piazzale, vuoto, dove vi è solamente un patibolo per l’impiccagione, pronto a punire chiunque non compia il proprio lavoro e a mostrare a tutti come appare un corpo morto appeso ad un cappio. Questo era ciò che i prigionieri vedevano ogni interminabile giorno, per ore, mentre si faceva e rifaceva l’appello al freddo, sotto la pioggia, con qualunque condizione atmosferica.

Attualmente all’interno del campo solamente tre baracche sono rimaste integre e una di queste è utilizzata come museo fotografico, ristrutturato poi nel 1980 a causa di un incendio provocato da dei neo-nazisti, l’ennesima prova che l’uomo anziché evolversi regredisce sempre più comportandosi alla stregua di una bestia. Il museo riporta nomi, date, oggetti e storie che sono sempre state nascoste perché per molti era meglio non sapere cosa fosse successo o, meglio, non ricordare.
La prima baracca ha al suo interno svariate stanze, principalmente bagni e celle minuscole in cui venivano rinchiusi i prigionieri che disobbedivano agli ordini. Queste celle anguste, munite di piccoli fori per il passaggio di luce e d’aria, rendevano la punizione un’agonia sia fisica che psicologica per chiunque avesse la sfortuna di dover subire questa pena per un’intera giornata.

La seconda baracca, invece, conteneva al suo interno il forno crematorio, strumento che, nonostante non sia in funzione da svariati anni, è ancora in grado di far gelare il sangue alla sola vista, esattamente come quando svolgeva il suo terribile compito, specialmente se si pensa che il suo uso non era riservato solamente ai morti. Oltre a quella del forno è presente anche un’altra stanza, quella per le urne cinerarie in cui le SS inserivano i resti dei prigionieri per venderli a prezzi altissimi ai relativi parenti oppure, se non erano richiesti, i resti venivano usati come concime.
Grazie ad autori come Boris Pahor, che ha vissuto in prima persona l’esperienza del campo di Natzweiller-Struthof, Primo Levi, Liliana Segre, persone che hanno avuto il coraggio di raccontare, di parlare, di ricordare cose che molti prigionieri volevano solo dimenticare, ognuno di noi ora sa cosa è successo e cosa non dovrà mai più accadere, sa quanto una persona può soffrire, quanto può sentirsi repressa, distrutta interiormente, fino a diventare un numero che aspetta solamente la propria fine.

                                                   Ambrosini A., Reggio J., Mastropasqua A., Kalo N. – 4BEI

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